L’emigrazione è un’urgenza inarrestabile dell’uomo oppresso, ma qual è il suo prezzo? Le testimonianze dei bambini fuggiti dai loro Paesi ne sono un esempio necessario per capire il fenomeno e le sue conseguenze.

“Quando siamo arrivati, ciò che più mi faceva soffrire era la mancanza di amici. La solitudine. Oggi molto è cambiato: ho qualche nuovo amico e i vicini di casa sono più tolleranti”, racconta Edilaine Chagas di 14 anni dallo Stato di Santa Catarina in Brasile. La maggior parte dei bambini migranti si sposta con la famiglia, al seguito dei genitori che vanno in cerca di lavoro o di nuove opportunità.

Nel 2008, quasi un decimo della popolazione infantile della Cina – 27,3 milioni di bambini – è emigrato all’interno del paese con i genitori. “Mi chiamo Lenderson Rosa Reis, sono brasiliano e sono nato nello Stato del Maranhão, a São Bento in Brasile. I miei genitori sono venuti a São Luís in cerca di un lavoro migliore, perché mio padre fa il falegname e mia madre la domestica. Così mio padre ha venduto una moto per comprare i biglietti e portare con sé tutta la famiglia. Abbiamo vissuto in diversi quartieri della città, ma abbiamo preso residenza in questo vicino alla Casa marista di accoglienza “Olho d’Água”, che oggi è molto importante nella mia vita”, spiega il 16enne.

Quando il disastro si verifica, i sistemi di appoggio vitali per il benessere del bambino possono disarticolarsi. Le famiglie spesso devono alloggiare nei campi per l’assistenza umanitaria per lunghi periodi, e questi contesti rischiano di diventare l’unico posto che i bambini conoscono in anni per loro formativi. “Siamo fuggiti attraversando la frontiera della Tanzania, dove siamo stati messi in un campo profughi con molte altre famiglie scampate dalla guerra in Congo”, ci spiega Monga Mukasa di 16 anni scappato in Australia dove frequenta a Victoria la scuola “Notre Dame” di Shepparton.

“Sono il quarto di sei figli: Papi, Juliette, Achi e le gemelline Fitina e Neema. Vengo da un Paese lacerato dalla guerra. A causa di essa ho perso mia madre. Mia sorella gemella Neema con mio zio Machinda sono stati separati da noi. Non ho avuto neppure la possibilità di dire addio a nostra madre quando lei morì”.

Il progetto educativo Three2Six è un progetto educativo per bambini rifugiati gestito dal Sacred Heart College (Johannesburg, Sudafrica). Il progetto fa da ponte per i bambini rifugiati che hanno difficoltà ad iscriversi nelle scuole sudafricane o perché le loro famiglie non possono pagare la retta, o perché i genitori non hanno tutti i documenti necessari. Come spiega Sedler Miguel. “Ho 13 anni, sono originario dell’Angola. Vivo con mio cugino a Johannesburg in Sudafrica da quando sono nato. Prima di entrare nel progetto, mio cugino aveva fatto di tutto per trovare una scuola per me, ma avevano detto sempre di no. Mi alzavo la mattina e guardavo gli altri bambini andare a scuola… come ridevano con gli amici e come sembravano brillanti nelle loro uniformi. Ora sono felice, mi sento uguale agli altri e vedo un futuro davanti a me”.

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