Drammatico l’ultimo studio di Medici Senza Frontiere. Tante le storie raccolte dalla Caritas sui rifugiati fuggiti dal Myanmar in Bangladesh. Intanto Hrw denuncia numerosi stupri. Si attiva la diplomazia internazionale.

Fame ed epidemie, i bambini sono i più vulnerabili. Secondo l’ultimo studio di Medici senza Frontiere  6700 morti in un solo mese (tra il 25 agosto e il 24 settembre a causa della violenza in Myanmar) di cui 730 i bambini al di sotto dei 5 anni. Lo studio è stato fatto tra i rifugiati in Bangladesh ed è stato pubblicato due settimane dopo la visita del Papa. Le cifre, terribili, potrebbero essere peggiori: “Il numero totale dei decessi è probabilmente sottostimato perché Msf non ha condotto indagini in tutti campi profughi in Bangladesh.

Intanto il 18 dicembre Human Rights Watch (Hrw) ha lanciato un rapporto sconcertante in cui si denuncia che l’esercito del Myanmar ha sistematicamente stuprato e ucciso diverse centinaia di musulmani Rohingya in un villaggio nel nord dello stato di Rakhine il 30 agosto di quest’anno. Il massacro è avvenuto nel villaggio di Tula Toli, nella municipalità di Maungdaw, pochi giorni dopo che le forze armate hanno lanciato l’operazione militare in risposta agli attacchi dei militanti Rohingya ai posti di polizia del 25 agosto.

Notizie che sconvolgono e numeri che lasciano esterrefatti, come esterrefatti lasciano le testimonianze fornite da alcuni profughi alla Caritas.  “Sei giorni fa, l’esercito ha attaccato la nostra città. Stavano girando dappertutto. Hanno sparato a mia moglie alle spalle e l’hanno uccisa”, dice Abdul Rahman, un rifugiato Rohingya che è fuggito dal Myanmar in Bangladesh. “Non abbiamo nulla. Siamo disperati”, è uno dei tanti racconti disperati raccolti dall’Organizzazione pastorale della Cei.

Quasi 400.000 persone sono fuggite dalle violenze in Myanmar, a Cox’s Bazar, in Bangladesh. Vivono in campi di fortuna, rifugi temporanei, in villaggi o all’aperto. Sono totalmente dipendenti dagli aiuti umanitari, l’acqua pulita è scarsa e le strutture sanitarie sono terribili. Di quelli che hanno attraversato, quando la violenza si è intensificata ad agosto, si ritiene che circa 200.000 siano bambini. Sono in una situazione di rischio incredibile e hanno bisogno di aiuto urgente.

Inoltre è notizia di pochi giorni fa che la difterite si sta rapidamente diffondendo nel campo profughi di Cox’s Bazar. Lo afferma l’Oms, secondo cui i casi sospetti sono 110 con sei morti. “Questi casi potrebbero essere la punta dell’iceberg”, afferma il rappresentante dell’Oms Navaratnasamy Paranietharan. Intanto il governo del Bangladesh, supportato dall’Unicef, dall’Oms e dalla Gavi (l’Alleanza Globale per le Vaccinazioni), ha lanciato una campagna di vaccinazione contro la difterite e altre malattie prevenibili per tutti i bambini rohingya di età compresa fra le 6 settimane e i 6 anni che vivono in 12 campi per rifugiati e insediamenti temporanei vicino al confine col Myanmar. La vaccinazione rapida coprirà circa 255.000 bambini nei sotto-distretti di Ukhiya e Teknaf a Cox’s Bazar, mentre il governo e i partner nel settore sanitario continueranno ad aumentare il supporto per la cura e la prevenzione della difterite.

Le storie sono terribili e la situazione precipoita di giorno in giorno. Nel campo di Kutupalong, ogni negozio contiene diverse storie dell’orrore, oltre il confine. “Non abbiamo nulla”, dice un nuovo arrivato al campo, che è fuggito dal suo villaggio, nel distretto di Mangdu, quando i soldati sono arrivati e hanno iniziato a sparare. “L’unica cosa che abbiamo portato erano i vestiti che stavamo indossando. Hanno ucciso mio figlio. Aveva solo 25 anni”.

Guardando attraverso il fiume Naf in Myanmar, ci sono pennacchi di fumo che si alzano dai villaggi bruciati, mentre i Rohingya, disperati, arrivano stipati in barche di legno. “Ci sono centinaia di migliaia di persone che sono state costrette a lasciare le loro case. Non hanno niente. È una situazione tragica, sia all’interno che all’esterno del Paese”, ha affermato il segretario generale di Caritas Internationalis Michel Roy. “La violenza e l’aggressività devono cessare. Le agenzie umanitarie hanno bisogno di un accesso senza ostacoli. La dignità dei Rohingya deve essere riconosciuta”.

In Myanmar vivono 400.000 sfollati interni (oltre ai 600.000 Rohingya fuggiti in Bangladesh) appartenenti alle etnie Kachin, Karen, Chin, e Shan, parimenti discriminati e con situazioni di tensione con l’esercito che ancora non si placano. I 120.000 sfollati Kachin, ad esempio, sono soprattutto cristiani e vivono nei campi profughi da oltre sei anni. “Ma per loro non c’è mai stata la minima attenzione da parte della comunità internazionale, che interviene solo quando sono in corso picchi alti delle crisi; ma quando i conflitti sono a bassa intensità non c’è alcun interesse”, racconta Win Tun Kyi, direttore nazionale di Karuna (che in sanscrito significa “carità”), l’efficiente Caritas del Myanmar. Nei campi profughi dello Stato Kachin la Caritas distribuisce cibo e acqua, fornisce alloggi temporanei e servizi sanitari ad almeno 40.000 persone.

Dall’accordo dei governi al Consiglio Onu

Molte le soluzioni messe in campo dalla diplomazia internazionale. Dall’accordo tra i governi di Bangladesh e Myanmar (che prevede l’avvio del rimpatrio dei rifugiati Rohingya entro un paio di mesi) al Consiglio Onu per i diritti umani (Unhrc) che ha chiesto l’avvio di una inchiesta internazionale sugli abusi e i crimini contro i Rohingya che potrebbero prefigurare un genocidio. Grande la tragedia. Dopo decenni di assenza statale imposti ai Rohingya, “le politiche discriminanti, le violenze orrende e gli abusi insieme ai trasferimenti forzati e la sistematica distruzione dei villaggi, possiamo escludere che si tratti di un genocidio?”, ha sottolineato il capo dell’Unhcr, Zeid Ra’ad Al Hussein. Il responsabile ha fatto convocato una sessione speciale del Consiglio per assumere “le misure necessarie per porre fine a questa follia”. Gli ultimi dati stimano siano 626.000 i rifugiati Rohingya arrivati in Bangladesh dall’ottobre dello scorso anno.

Il Papa chiede perdono

E intanto il Papa ha chiesto perdono. “La vostra tragedia è molto dura e grande, ma vi diamo spazio nel cuore: a nome di tutti quelli che vi hanno perseguitato, che vi hanno fatto del male, chiedo perdono”. Con queste parole Papa Francesco si è rivolto, al termine dell’incontro interreligioso sulla pace, a un gruppo di profughi Rohingya fuggiti dal Myanmar, durante il suo viaggio in Myanmar e Bangladesh.

Chi sono i Rohingya

I Rohingya sono una minoranza etnica che vive principalmente nello stato di Rakhine, sulla costa occidentale del Myanmar, che pratica l’Islam. Sono stati emarginati e costretti ad accettare condizioni di vita precarie nelle aree di confine del Bangladesh e del Myanmar per decenni.
Negli anni ’80, il governo del Myanmar ha negato ai Rohingya la loro nazionalità, sostenendo che la loro presenza in Myanmar non era legale. Da allora, c’è stato un afflusso di richiedenti asilo Rohingya in Bangladesh, specialmente durante i periodi di persecuzione in Myanmar.
La situazione dei Rohingya peggiorò ulteriormente nell’ottobre 2016, quando l’Esercito della salvezza di Arakan Rohingya (ARSA) attaccò per la prima volta un posto di polizia in Myanmar, uccidendo nove poliziotti. L’ultima crisi è iniziata il 25 agosto, quando l’ARSA ha di nuovo lanciato attacchi multipli ai posti governativi nello stato di Rakhine, e le forze di sicurezza del Myanmar hanno risposto agli attacchi.

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